Daniele 9 – una proposta interpretativa edificante

La profezia è un aspetto che caratterizza in modo particolare la narrativa biblica. Tra Antico e Nuovo testamento essa è sempre presente con un messaggio sempre meritevole di attenzione. I dati che emergono dalla Scrittura ci indicano che essa è prima di tutto uno strumento di Dio per rivelare e far conoscere verità. Non per mascherarle. Essa parte da Lui ed è in vista di Lui e di quello che ha in mente riguardo alla storia. Inquadrata in questo senso capiamo che lo scopo per cui Dio ha scelto questa forma di comunicazione è per perseguire primariamente i suoi interessi. Non i nostri.

Gli eventi profetizzati nella bibbia, vanno quindi messi in una prospettiva ben precisa per rispondere al “perché” certe cose accadranno piuttosto che al “come” accadranno. Non sono gli eventi storici quelli importanti da considerare, quanto piuttosto lo scopo dietro al loro accadimento.

Daniele 9 è forse il brano più complicato dell’AT. Per alcuni dell’intera scrittura. In esso sono descritte una serie di circostanze e di personaggi dei quali si sono formulate tantissime ipotesi. Alcune degne di nota, altre invece insostenibili. Il mio proposito è di tentare di proporre una pista interpretativa che tenga presente la premessa precedente (ovvero il motivo per cui certe cose sono narrate) e dimostrare quanto sia edificante e lieto il messaggio che porta l’angelo.

Prima di procedere occorre chiederci qual è il contesto attraverso cui si veicola il messaggio.

 

Un presente angoscioso (v.1-4)

Siamo nel primo anno di Dario (v.1), nei primi mesi dopo la conquista dell’impero Babilonese da parte di Ciro. E’ scritto che Dario fu costituito re del regno dei Caldei. Non è chiaro chi sia precisamente costui. Con tutta probabilità fu un governatore rivestito di autorità da Ciro in vista di controllare meglio il territorio della Caldea.

Fu comunque in questo periodo, caratterizzato da sconvolgimenti politici, guerre, cadute e nascite di imperi, che Daniele sta meditando sui libri di Geremia (v.2). Molto probabilmente il suo interesse era focalizzato sulle profezie che dicevano che Gersualemme sarebbe stata in rovina per settant’anni (Geremia 25:9-13). Sapeva che il tempo del ritorno dalla cattività era ormai vicino, tuttavia non vede ancora nessun segno di libertà. Ciro è già insediato da tempo, perché dunque le promesse tardano a compiersi? Questo è il motivo che lo spinge, v.3 a volgere la faccia verso Dio. Il suo cuore è evidentemente agitato, perciò, v.4, si dispone alla preghiera e alle suppliche, con digiuno, con sacco e cenere. Quel momento era evidentemente molto difficile da digerire…ciò nonostante rivolge la preghiera verso Dio, il Signore, dice il v.4, ovvero a YHWH il Dio del patto. Non a un Dio qualunque, ma proprio a quel Dio che fece alleanza con il suo popolo secoli prima! Proprio Lui invoca.

E’ inutile dire quante cose ci possono far riflettere. Infatti anche oggi si vive circondati da incertezze, drammi, da cataclismi di ogni ordine e genere. Il Covid è solo la punta dell’iceberg. Qual è dunque la risposta adeguata davanti a tutto questo mare di problemi? La risposta è semplice: volgere la nostra faccia verso Dio. Quando le cose sembrano poco chiare e quando il quadro del nostro presente sembra opaco, non c’è altra cosa da fare che volgere la nostra faccia (lett. girarla verso di Lui). Ruotare i nostri occhi e il nostro cuore dal problema al Dio che si è avvicinato a noi nella grazia e nella sostanza di un patto!

 

Una preghiera accorata (v.5-19)

La preghiera di Daniele è sorprendente, soprattutto se ricordiamo la sua condotta di vita irreprensibile. Infatti nei v.5-6 è scritto che parla di “noi”, confessando pure il suo comportamento malvagio, in rivolta contro il Signore. Confessa che, nonostante Dio avesse mandato i profeti per rivelare la propria volontà ai Re, principi, padri e tutto il popolo, tutta la nazione non aprì le orecchie! Tutti, senza eccezione, si resero colpevoli. Che tragica confessione. E continua dicendo:

Non ci siamo ritirati dalla nostra iniquità e non siamo stati attenti alla sua verità (v.13c)

Siamo stati intenzionati a non ubbidirti (v.11), e abbiamo persistito nel condurre quella vita scabrosa non prestando orecchio alla verità della sua Parola! Daniele sapeva che quella era la maledizione contemplata nella Torah. E sapeva che i suoi padri, secoli prima, avevano giurato di impegnarsi a scongiurare. Ecco perché sempre al v.13a si riferisce alla Torah:

Come sta scritto nella legge di Mosè, questo disastro ci è piombato addosso

E’ evidente che quella pena era giusta. Infatti la legge era stata infranta, la giustizia sociale sopraffatta, la fede nel Signore sostituita dall’idolatria, la missione di Israele verso un mondo decaduto soverchiata dalla presunzione e dall’orgoglio. Non restava che ammettere:

A te, o Signore, la giustizia; a noi la confusione della faccia (v.7)

Questa è la prima cosa che vediamo nella preghiera di Daniele: l’angoscia per il peccato. E credo che in cuor suo sapeva che era inutile tornare a Gerusalemme se il cuore del popolo continuava a rimanere lontano dal Signore. Inutile che si torni al paese, si ricostruisce tutto, ma poi le nostre desolazioni interiori rimangono. Questo è il senso che troviamo nelle parole del v.13b.

Come sta scritto nella legge di Mosè, questo disastro ci è piombato addosso; tuttavia, non abbiamo implorato il favore del SIGNORE, del nostro Dio.

Non c’è solo una città e un santuario distrutti che testimoniano la nostra iniquità, ma ci sono ancora oggi i nostri cuori. Ed è da questa consapevolezza che al v.19 supplica aiuto:

poiché non ti supplichiamo fondandoci sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia. Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio per amore di te stesso

Signore ti prego, non per la nostra giustizia, ma sulla base della tua grande misericordia. Non per il nostro onore, ma per amore di te stesso, ti prego ascolta, perdona, guarda e agisci! Nulla dovrebbe spingerti a venire a noi e cambiare le sorti della nostra storia, se non unicamente per amore della tua gloria! Sapeva che appellarsi alla grazia di Dio, significava ammettere il proprio completo fallimento. E questo dovrebbe incoraggiare anche noi a vedere le nostre proprie rovine, come occasioni per tornare al Signore. Le nostre desolazioni, come occasioni in cui chiedere al Signore di intervenire unicamente sulla base della sua grande misericordia. In questo anno passato e in quello che ci apprestiamo a vivere, facciamo nostro lo spirito di questa supplica. Togliamo via da noi qualsiasi forma di ipocrisia o teatralità. Portiamo alla luce le nostre vergogne. Portiamo a galla le nostre desolazioni, sapendo che qualunque peccato confessato troverà la mano del Signore li pronta a concedere grazia, perdono e ristabilimento.

 

Una promessa radiosa (v.20-27)

E la risposta di Dio arriva. Ma per capirne il senso, dobbiamo ricordare che esse sono la risposta di Dio alle richieste di perdono e intervento viste prima. Ciò che Dio ha in mente di attuare nella storia futura, è un opera che, per grazia e maestosità, oltrepasserà le suppliche di Daniele! Daniele chiede perdono e intervento per Israele, Dio risponde che essi traboccheranno in un trionfo meraviglioso e molto più grande di quello che può immaginare il suo servo. E questo trionfo è descritto in 9 importanti traguardi. v.24, settanta settimane sono state fissate (lett. settanta settenari), cioè un periodo di tempo contato a gruppi di sette. E’ possibile scrivere un fiume di parole per descrivere i suoi possibili significati. Ma il significato teologico dietro questa simbologia è che nella mente di Dio il tempo e le circostanze sono stati pianificati minuziosamente. Ogni singolo istante della storia è stato contato affinché si compia il suo piano grandioso (fatto appunto di 9 traguardi):

1) cessare la perversità (v.24): letteralmente contenere o confinare, mettere un limite invalicabile. Nel cuore di Dio c’è la volontà, una volta per tutte, di fare i conti con il peccato. Non solo di Israele, ma più in generale dell’umanità intera. È vero che Daniele prega per il suo popolo, ma Colui che Dio prepara a compiere questo, non avrebbe confinato questa grazia solo al popolo di Daniele. La sua opera avrebbe assunto dimensioni più imponenti e raggiunto persone in ogni angolo della terra.

2) mettere fine al peccato (v.24): cioè decretarne la fine…toglierne il suo potere malefico!

3) espiare l’iniquità (v.24): Lett. coprire l’iniquità. Dio rimuoverà le conseguenze del peccato del suo popolo.

4) stabilire una giustizia eterna (v.24): cioè ristabilire il rapporto con l’uomo peccatore. Dio provvederà a riporre i suoi figli nella giusta relazione con Lui. E ciò non sarà qualcosa di passeggero, ma sarà per sempre.

5) sigillare visione e profezia (v.24): Qualcosa che è sigillato non lo si vede più. Qualcosa per cui non se ne sente più il bisogno. Qualcosa per cui il suo compito lo si può ritenere concluso. Qualcosa (o qualcuno) di migliore l’ha soppiantato. Cioè che ciò che aveva caratterizzato la rivelazione fino ad allora, avrebbe visto una fine.

6) ungere il luogo santissimo (v.24): Letteralmente il testo dice “ungere un santissimo” (senza articolo determinativo), oppure “un santo dei santi”. Quindi si potrebbe trattare sia di una persona (Cristo) che di un luogo (il santuario a Gerusalemme). Sebbene “l’unzione di un santissimo”, nell’Antico Testamento, si riferisce al tempio, credo che in questo caso l’unzione si riferisca a Cristo perché è il contesto del brano che ce lo suggerisce. Infatti la profezia, al v.26, dice che il santuario verrà distrutto (perciò non si capisce in che senso sarà unto il tempio)! Ad ogni modo, se accettiamo l’idea generale che l’unzione, è il gesto simbolico che conferma la presenza dello spirito di Dio, se lo riferiamo a Cristo capiamo anche il senso di decine di brani che lo indicano come Colui in cui avrebbe dimorato lo Spirito di Dio (vedi Isaia 61 e Luca 2). Non c’è dubbio che nel Messia (e non nel tempio poi distrutto) dimorava lo Spirito di Dio. O in altri termini, il Messia avrebbe avuto come segno distintivo proprio la presenza e la potenza dello Spirito Santo in Lui!

Spero che stiamo notando le dimensioni della risposta di Dio. Alla sua richiesta di perdono e aiuto, Dio risponde che sarebbe giunto un tempo certo (70 settimane), in cui la luce della sua giustizia eterna avrebbe trionfato sulla desolazione non solo di Gerusalemme, ma anche sul peccato in generale! È Cristo il cuore di questo piano, tanto per gli ebrei (di cui Daniele intercede), quanto per i gentili (di cui Dio ha a cuore). Lui è il Grande Liberatore, che ha rinchiuso la perversità attraverso la sua morte espiatrice. Lui l’ha inchiodata sulla croce al posto e a beneficio di molti, non solo verso il popolo d’Israele. Lui è Colui che è stato manifestato per annullare il peccato con il suo sacrificio (Ebrei 9:26)! Dopo questo non ci sarà più bisogno di sapere altro, non ci sarà più bisogno di un’ulteriore rivelazione. Visione e profezia non saranno più necessarie. Quando Lui, l’unto promesso, giungerà, verrà inaugurata l’era del Regno di Dio.

Un piano che, come leggiamo al v.25, avrebbe visto i propri motori avviarsi (o le prime 7 settimane avviarsi), a partire dal giorno in cui sarebbe uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme, fino al tempo in cui sarebbe giunto un unto, un capo. Nel frattempo, conclude il v.25, Gerusalemme sarebbe stata restaurata e ricostruita, piazza e mura incluse, attraversando però tempi molto angosciosi (i libri di Esdra e Neemia descrivono bene quei giorni). E dopo aver chiarito che nel primo periodo di questa profezia, ovvero le prime 7 settimane, Gerusalemme avrebbe avviato il suo processo di ricostruzione, Dio risponde che, al termine delle 62 settimane successive un unto sarebbe stato soppresso e nessuno sarebbe stato per lui.

7) un unto sarà soppresso (v.26): Cioè un unto morirà di una morte violenta. Orrenda. Nessuno sarà per Lui, letteralmente niente per Lui, ovvero non avrebbe avuto nulla che, a buon diritto, avrebbe dovuto avere. Questa è un’espressione fortissima per indicare il completo abbandono di Cristo sulla croce a causa nostra e al posto nostro! In quell’ora di tenebre, egli non ebbe nulla, nulla se non la solitudine e la compagnia del peccato di tutti coloro per i quali morì. In quella soppressione solitaria, c’è il valore della grande sostituzione avvenuta. Noi avremmo dovuto pagare la nostra desolazione! Noi saremmo dovuti essere soppressi e morire a causa delle nostre trasgressioni! Invece, nella grazia di Dio, quella morte la subì un altro. Un unto. Un innocente. Dopodiché, la profezia prosegue:

Il popolo d’un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà come un’inondazione ed è decretato che vi saranno devastazioni sino alla fine della guerra.

Qui inizia uno dei 2 grandi paradossi della profezia. Infatti il tempio e la città che con così tanta fatica sarebbero stati costruiti, è decretato che subiranno la distruzione da parte di un popolo d’un capo che verrà. Ci sono molte interpretazioni riguardo al linguaggio usato qui. Pur rispettandoli, personalmente ritengo che sia un riferimento al popolo appartenente a un capo. Ovvero le truppe del generale (che poi diventerà anche imperatore), cioè un capo. Loro, appartenendo a Tito Vespasiano, nel 70 dC., distrussero città e santuario. Loro in quanto popolo appartenente a Lui capo (chi verrà e distruggerà infatti sarà il popolo e non semplicemente il suo capo), vennero e sedarono la rivolta distruggendo città e santuario e dando avvio alla seconda diaspora.

8) un patto verrà stabilito (v.27): Questi tempi descritti sono molto angosciosi. Quell’unto, che è anche un capo, sarà soppresso. La città e il tempio rasi al suolo da un popolo di un altro capo. Quale speranza ci potrà mai essere, se non che, v.26, Egli, cioè il soggetto principale della profezia, ovvero il vero unto, il Messia, stabilirà un patto con molti (lett. farà trionfare un patto con molti). Tutto crollerà. Tutto sarà soggetto a devastazione, ma quell’unto, prima soppresso, farà trionfare un patto. Questo è il secondo paradosso. Ma come come farà a farlo trionfare? Credo che l’unica risposta possibile sia che quell’unto sarà in grado di farlo trionfare in uno stato adeguato alla vittoria e al godimento! Ovvero da vivo! Da risorto! Ed è qui il cuore della speranza del Vangelo che Romani 6 ci ricorda. Uniti per fede a Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte ma anche nella sua resurrezione, la quale ha sancito la vittoria contro il peccato e la morte.

9) sacrificio e offerta cesseranno (v.27): E il trionfo di questa alleanza, è sancito con la cessazione del sacrificio e offerta, secondo quanto è scritto in ebrei 9:16-18:

Questo è il patto che farò con loro dopo quei giorni», dice il Signore, «metterò le mie leggi nei loro cuori e le scriverò nelle loro menti», egli aggiunge: «Non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità». Ora, dove c’è perdono di queste cose, non c’è più bisogno di offerta per il peccato

Ma il sacrificio unico e irripetibile di Cristo solleva anche un’altra questione. Ovvero che qualsiasi altro sacrificio e offerta non potranno che essere ritenuti che un abominio in confronto al suo. Ed è proprio su quell’abominazione che piomberà il devastatore descritto al v.27. Egli arriverà sulle ali (un altro modo per indicare il punto più estremo o più alto) dove si compiono le abominazioni cioè del tempio. Li sarebbe piombato, v.27, commettendo le cose più abominevoli, finché la completa distruzione, che è decretata, non piombi pure sul devastatore stesso.

 

Conclusione

La promessa generale è immenso incoraggiamento tanto per Daniele quanto per noi oggi. La risposta di Dio non ha intenzione di concentrarsi su calcoli matematici o date precise. Non si concentra  nemmeno sulle caratteristiche dei vari oppositori che sorgeranno. Ma mira dritto sulla promessa che quell’unto, che subirà la soppressione, alla fine trionferà! Infatti, se si guarda come finisce la profezia, troviamo che a tutto è decretata una fine. Città, tempio, sacrifici, offerte. Pure i feroci oppositori faranno una brutta fine.. il giudizio di Dio è radicale, ma non è senza speranza! Infatti ciò che rimarrà in piedi sarà la vittoria del Messia. Con Lui la storia raggiunge il suo scopo. Da lì in avanti c’è spazio solo per un canto di vittoria perché il peccato è stato cancellato, l’iniquità espiata, il sacrificio perfetto compiuto e il patto di grazia fatto trionfare! Questa profezia è pregna della completezza dell’opera di Cristo. Rimane quindi da chiedersi in che modo essa sta riempendo la nostra mente e definendo il nostro presente in questa terra. L’invito della Scrittura è di tornare a Lui con tutto il nostro cuore! Riempirci del ricordo di ciò che ha fatto trionfare! Il messaggio porta con se un lieto messaggio perché Dio è amore. E nella vastità del suo amore ha donato promesse affidabili. Cristo è il cuore di queste promesse per la redenzione e il ristabilimento del suo popolo! A Lui sia la gloria!

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