Il lamento cosmico di Giobbe (3:1-26)

Giobbe ha perso tutto in una serie di rapide tragedie e ora sono arrivati i suoi amici. È Giobbe, tuttavia, a parlare per primo e il suo primo discorso dà il via al lungo dibattito nel libro. Dal punto di vista di Giobbe, Dio si è rivoltato contro di lui con una serie di giudizi rabbiosi: Dio ha iniziato a trattare Giobbe come se fosse un peccatore grave. Sebbene Giobbe sappia di non aver fatto nulla per meritare la maledizione di Dio, si ritrova costretto nella terrificante posizione di chiedersi se non sarebbe stato meglio non essere mai nato. In questo capitolo Giobbe contempla la vita senza un rapporto con Dio.

 

Una maledizione sul “giorno” e sulla “notte” di Giobbe (3:1-10)

In 3:1-3, Giobbe desidera che il giorno in cui è nato “perisca”, che venga, per così dire, cancellato per sempre dal calendario. Dal punto di vista di Giobbe, Dio è (inspiegabilmente) arrabbiato con lui e lo tratta come un peccatore. Come valuti questo desiderio? Come valuti la conclusione di Giobbe, che la sua sofferenza sembra essere la disapprovazione di Dio?

In 3:4-10, Giobbe alterna i temi del giorno e della notte, formando uno schema chiastico. Anche se è probabilmente più chiaro nell’originale ebraico, la maledizione di Giobbe sul giorno della sua nascita riecheggia Genesi 1 in diversi modi; ad esempio, la prima dichiarazione di Giobbe nel versetto 4 – “Che quel giorno sia tenebra!” – inverte la dichiarazione iniziale di Dio in Genesi 1:3, “Sia la luce!” Osservando la vita e tutta la creazione di Dio attraverso gli occhi di Giobbe, cosa vedi?

Il verbo tradotto nel v.5 come “rivendicare” è la stessa parola usata per i meravigliosi atti di salvezza di Dio a favore di Israele altrove nell’Antico Testamento, spesso tradotto come “redimere” (ad esempio, Esodo 6:6; Isaia 43:1). Perché Giobbe avrebbe usato una parola così carica di significato teologico? In che modo l’uso di questo termine mostra la profondità della sua disperazione?

Il “Leviatano” menzionato nel v.8 sarebbe stato familiare agli antichi israeliti, anche se a noi è sconosciuto. Alla luce di altri riferimenti al Leviatano (ad esempio, Giobbe 26:12), sembra che questa creatura sia forse un simbolo del male soprannaturale che resiste al dominio di Dio e cerca di distruggere e sopraffare il buon ordine che Dio ha fondato nella creazione. Ma perché Giobbe si riferisce al Leviatano? Cosa spera che faccia il Leviatano? In che modo questo versetto esprime la profondità del suo dolore e disperazione?

 

 

Perché non sono morto alla nascita? (3:11-26)

Nei v.11-16, qual è il luogo in cui Giobbe desidera ardentemente essere, l’unico luogo immaginabile di riposo e pace dal suo dolore?

Giobbe elenca re e principi come altri abitanti di quel luogo (vv. 14-15) e sembra implicare che tutti i loro successi e la loro ricchezza ora non significano nulla, che qualunque cosa sia accaduta durante la loro vita terrena ora non ha più senso. Questo ci aiuta a capire perché Giobbe potrebbe desiderare questo luogo?

Anche se Giobbe non ce lo dice, a chi si riferisce quando parla del “capo” (v. 18)? In che modo questo, ancora una volta, allude alla profondità della sua disperazione?

Nel v.23 Giobbe dice che è stato “circondato” da Dio. Giobbe intende chiaramente questo in senso negativo: la presenza di questo Dio arrabbiato e punitivo è diventata opprimente invece che gradita. Ma Giobbe qui usa un verbo raro che appare anche in 1:10, dove Satana dice che Dio aveva circondato Giobbe di benedizioni. Il verbo è abbastanza raro e questa ripetizione non è una coincidenza. In che modo Giobbe sta fraintendendo la sua posizione davanti a Dio?

Approfondimenti teologici

UNA VISIONE DELLA VITA SENZA VANGELO. In questo capitolo, sentiamo un grande santo contemplare la possibilità di una vita senza il sorriso di Dio, e la sua visione è davvero cupa. Ma Giobbe non dice proprio quello che ci aspetteremmo. Dato che è alle porte della morte e ha perso ogni benedizione terrena, avrebbe senso che Giobbe desiderasse essere morto. Ma Giobbe desidera non essere mai vissuto (vv. 3,11). Questo dimostra quanto apprezzi Dio e il favore di Dio. Tutta la sua vita di benedizioni, la sua meravigliosa famiglia, la sua reputazione: Giobbe avrebbe preferito gettare via tutto questo ma continuare a godere del favore di Dio. Proprio come in 1:21, è Dio stesso, e la Sua grazia, l’unica cosa che rende la vita sopportabile per Giobbe. Ironia della sorte, nella profonda tristezza di questo capitolo, sentiamo un’eco di quanto profondamente Giobbe ami e apprezzi Dio, anche se in questo capitolo non lo nomina mai direttamente. È importante che noi, che stiamo seguendo Giobbe attraverso la valle dell’ombra della morte, affrontiamo questa visione della vita senza la grazia di Dio. Così facendo, saremo ancora più grati per la grazia che ci ha elargito.

UN DURO CAPO? In questo capitolo, la teologia di Giobbe è più solida di quanto non pensiamo, ma presenta anche dei fraintendimenti sul comportamento di Dio nei suoi confronti. Giobbe accenna al fatto che Dio è un crudele padrone di schiavi (v.18) che lo tiene rinchiuso (v.23). Di conseguenza, Giobbe è il più lontano possibile dalla pace e dal riposo che derivano dalla comunione con Dio (v.26). Ma sebbene l’errore di Giobbe sia comprensibile (non conosce gli eventi dei cap. 1-2), Dio lo sta difendendo (1:8; 2:3). Inoltre, alla fine della storia, Giobbe confesserà che solo Dio, non un’oscurità cosmica, è il suo Redentore (3:5). Una profonda sofferenza può rovinare e sfigurare il nostro senso dell’amore, del favore e della protezione di Dio, ma questi doni sono reali e Dio in prima persona è impegnato nella ns. salvezza e santificazione.

GUERRA SPIRITUALE. Sebbene Giobbe lo esprima in modo negativo, la sua teologia della creazione in questo capitolo è la stessa del resto dell’Antico Testamento: ci sono forze malvagie delle tenebre che attaccano la luce della buona creazione di Dio, incluso un temibile mostro soprannaturale (v.8) che desidera la sua dissoluzione. Il libro di Giobbe amplia la nostra prospettiva per vedere quanto grande sia la lotta che si combatte ogni giorno per i santi in cielo.

LA NUOVA CREAZIONE. Sebbene Giobbe parli del giorno della sua nascita nei v.3-10, maledice quel giorno in modo da includerci anche tutto il resto della creazione. La prospettiva si allarga rapidamente dalla luce che splende nel giorno della nascita di Giobbe all’oscurità dei suoi pensieri. Gli echi di Genesi 1 implicano anche che Giobbe stia invocando l’oscurità cosmica su ogni cosa. Giobbe afferma tutto questo in modo negativo; non vuole vivere in un universo senza il favore di Dio, il che toglierebbe il senso a qualsiasi cosa esista. Ma in un certo senso ciò che Giobbe desidera si avvererà un giorno, quando il mondo sarà purificato dal fuoco (2 Pietro 3:10) e sorgeranno nuovi cieli e nuova terra (Apocalisse 21:1). Ma questa inversione della creazione decaduta non avverrà solo a causa dell’ira divina contro il peccato umano: Dio renderà nuove tutte le cose proprio per il suo desiderio di consumare il suo amore con noi. Ciò che Giobbe spera in questo capitolo accadrà, ma in un modo molto più felice di quanto lui immagini.

POESIA IRRESISTIBILE. Un modo in cui il narratore ci aiuta ad entrare dentro l’oscurità del dolore di Giobbe, è attraverso la poesia. Non ci viene semplicemente detto che Giobbe è disperato; le immagini e le emozioni che crescono riga dopo riga, evocano la profondità della sua esperienza. Il narratore vuole che il lettore colga la sofferenza di Giobbe attraverso parole e pensieri registrati in una forma letteraria unica. In un certo senso, siamo chiamati a sederci nella polvere accanto a Giobbe e piangere amaramente con lui per come il mondo, purtroppo, ribolle di odio e disprezzo verso la multiforme grazia di Dio.

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