Il Libro di Giobbe

Introduzione

“Il più grande libro mai scritto con la penna”.

Così scriveva il saggista Thomas Carlyle a proposito del libro di Giobbe. È un libro che più lo si percorre, più ci convinceremo che non ha senso se non per la croce di Cristo. Questa affermazione sarebbe rigorosamente vera per tutto l’Antico Testamento, ma in qualche modo in Giobbe sembra più vera, perché senza Gesù il libro di Giobbe non sarà che “il resoconto di un’agonia senza risposta”. Il libro di Giobbe è imperniato sul contrasto, sul conflitto e sulla tensione tra la sapienza del mondo e la sapienza della croce.

Forse è per questo che i commentari che si limitano a interpretare l’Antico Testamento solo in termini di Antico Testamento si trovano in vicoli ciechi. La Scrittura deve essere interpretata dalla Scrittura, e il libro di Giobbe può essere compreso solo come parte dell’intero canone biblico che si compie in Cristo.

Questo non significa che il libro non riguardi Giobbe nel suo contesto antico. Certo che lo è. Ma le sue esperienze, i dibattiti, le lotte, le sofferenze e le benedizioni finali di Giobbe si realizzano nella perfetta obbedienza di Gesù Cristo nella sua vita e nella sua morte e poi nella sua risurrezione, ascensione ed esaltazione alla destra di Dio. Il libro di Giobbe solleva tre grandi domande: 

  • In che tipo di mondo viviamo? 
  • Che tipo di chiesa vogliamo? 
  • Che tipo di Salvatore abbiamo bisogno?

 

 

 

In che tipo di mondo viviamo?

Dobbiamo essere onesti e affrontare il tipo di mondo in cui viviamo. Perché Dio permette la sofferenza? Perché non fa nulla per rimediare a certi drammi? E perché, d’altro canto, prosperano persone a cui non importa nulla di Dio e della giustizia? 

Qui, nell’idioma contemporaneo, c’è la voce arrabbiata di un uomo onesto di tanto tempo fa che ha lottato con questa stessa ingiustizia: Perché i malvagi se la passano così bene, vivono fino a un’età matura e si arricchiscono? Possono vedere i loro figli avere successo, possono guardare e godere dei loro nipoti. Le loro case sono tranquille e libere dalla paura; non sperimentano mai la verga disciplinare di Dio. I loro tori si riproducono con grande vigore e i loro vitelli partoriscono senza problemi. Mandano i loro figli a giocare e li guardano correre come agnelli di primavera. Fanno musica con violini e flauti, si divertono cantando e ballando. Hanno una lunga vita in una strada facile, e muoiono senza dolore nel sonno. Questa era la voce di Giobbe, nella parafrasi del capitolo 21. 

“Siamo onesti”, dice. “Smettiamola con questa pia credenza che va bene per i buoni e male per i cattivi. Non è vero; guardate in giro per il mondo, semplicemente non è vero. In linea di massima, le persone che non si interessano di Dio vivono vite più felici, più lunghe e con meno sofferenze rispetto ai credenti. Perché? Che razza di Dio gestisce un mondo così?”. 

 

 

 

Domande da poltrona e domande da sedia a rotelle.

Nel libro di Giobbe ci troviamo di fronte a domande difficili come questa. Ma ci sono due modi di porle. Possiamo porle come domande da poltrona o come domande da sedia a rotelle. Le poniamo come domande da poltrona se siamo lontani dalla sofferenza. Come disse Shakespeare: “Scherza sulle cicatrici chi non ha mai sentito una ferita”. Ci confrontiamo con Dio con domande da sedia a rotelle quando non prendiamo alla leggera questo terrore quando noi stessi, o coloro che amiamo, soffrono. Ecco, il libro di Giobbe pone domande da sedia a rotelle!

Ognuno di noi sa che dietro la maggior parte delle porte di casa si nasconde il dolore, spesso nascosto, a volte lungo e prolungato, a volte molto profondo. Giobbe non è semplicemente accademico. Parla di persone. E’ per persone che conoscono la sofferenza. Giobbe è un libro incredibilmente onesto. È un libro che sa cosa dicono e pensano le persone, non solo quello che dicono pubblicamente in chiesa. Sa cosa si dice dietro le porte chiuse e sottovoce, e sa cosa diciamo nelle nostre lacrime. Non è solo un libro accademico. Se lo ascoltiamo con attenzione, ci toccherà, ci turberà e ci sconvolgerà a un livello profondo.

 

 

Che tipo di Chiesa dovremmo volere?

Ma oltre a chiederci in che tipo di mondo viviamo, il libro di Giobbe ci costringerà a chiederci a che tipo di chiesa apparteniamo. Qual è la più grande minaccia per le chiese cristiane oggi? Ecco un suggerimento: nella maggior parte del mondo le chiese rischiano di essere sommerse dal cosiddetto vangelo della prosperità, e nelle parti più ricche del mondo le chiese lottano per evitare che il vangelo si trasformi in quello che potremmo chiamare il vangelo terapeutico. Questi due pseudo-vangeli, strettamente correlati, minacciano di soppiantare l’autentico vangelo cristiano e biblico.

Il vangelo della prosperità, nella sua forma più cruda, è il messaggio che Dio vuole che tu sia ricco e che, se ti fidi di lui e glielo chiedi, ti renderà ricco. Il vangelo terapeutico riduce il messaggio della grazia in pillole, piccoli “compiti quotidiani” per arrivare a determinati “standard spirituali o di vita”. Ma il libro di Giobbe narra l’agonia e la fede di un grande santo per insegnarci il modo in cui il Signore governa il suo mondo e come possiamo fidarci di lui quando soffriamo. Giobbe era un uomo profondamente spirituale che fu molto benedetto per la sua fede (cfr. Giobbe 1:1-3), ma quando i motivi della sua pietà furono messi in dubbio dall’Accusatore, il Signore permise a Giobbe di perdere ogni benedizione terrena per dimostrare la genuinità della sua conoscenza e dipendenza da Dio.

Gli amici di Giobbe lo visitano con buone intenzioni (2:11; 33:32), ma non fanno altro che causargli ulteriore dolore (19:12), insistendo sul fatto che deve sicuramente aver peccato per aver provocato un trattamento così brutale da parte di Dio. Giobbe ammette di aver avuto bisogno di perdono molte volte, ma ribadisce di aver camminato in integrità con Dio e di non aver fatto nulla per meritare tale sofferenza. Di conseguenza, Giobbe si trova costretto a giungere alla terrificante (ma errata) conclusione che Dio lo ha trattato ingiustamente, che Dio non è pienamente giusto o buono o affidabile. Tuttavia, pur dicendo queste cose oscure su Dio, Giobbe esprimerà anche una fede notevole e la certezza che si riconcilierà con il Signore.

Il dibattito tra Giobbe e i suoi amici sul carattere di Dio e di Giobbe e, per estensione, sull’ordine morale della vita, non fa che allontanare e abbattere Giobbe. Solo quando il Signore stesso parla a Giobbe del modo in cui governa l’universo – e del posto che lascia al male – Giobbe si sente confortato. Avendo dimostrato di amare Dio per amore di Dio, a prescindere dalle benedizioni che Dio potrebbe concedere, Giobbe viene restituito alla vita piena e benedetta che Dio desidera per tutti i suoi figli.

 

 

Che tipo di Salvatore abbiamo bisogno?

La domanda più significativa, tuttavia, è la terza: che tipo di Salvatore abbiamo bisogno? O, per dirla in altro modo, che tipo di uomo ha bisogno l’universo per essere salvato? Dobbiamo convincerci che il libro non ha senso senza l’obbedienza di Gesù Cristo alla morte di croce. C’è qualcosa di disperatamente estremo in Giobbe. Egli prefigura un uomo la cui grandezza supera persino quella di Giobbe stesso, le cui sofferenze lo hanno portato più in profondità di Giobbe, e la cui perfetta obbedienza al Padre è stata anticipata solo marginalmente da Giobbe. L’universo ha bisogno di questo uomo, ubbidiente fino alla fine, amorevolmente e perfettamente disposto a soffrire fino alla fine per amore del Padre e per amore dei suoi amici (Romani 5:19).

 

Due osservazioni preliminari

Prima di addentrarci nel libro, è necessario fare due osservazioni preliminari.

Giobbe è un libro molto lungo, quarantadue capitoli. Potremmo considerarla un’osservazione piuttosto ovvia. Ma il punto è questo: nella sua saggezza Dio ci ha dato un libro molto lungo, e lo ha fatto per un motivo. È facile leggere o predicare solo l’inizio e la fine e sorvolare velocemente sugli infiniti argomenti intermedi, come se non avessero molta importanza se non ci fossero. Troppe chiese, se o quando affrontano Giobbe, lo fanno con una serie molto breve di sermoni: forse uno sui primi due capitoli, uno per la fine del libro e uno per coprire i capitoli da 3 a 37. Ma Dio ci ha dato quarantadue capitoli!

Perché? Forse perché quando la domanda sulla sofferenza “dov’è Dio?” e la domanda “che tipo di Dio…? vengono poste dalla sedia a rotelle, non possono trovare risposta in una post su Instagram. Se chiediamo: “Che tipo di Dio permette questo tipo di mondo?”. Dio ci dà un libro di quarantadue capitoli. Lungi dal dire: “Il messaggio di Giobbe può essere riassunto in una cartolina, in un Tweet o in un SMS, ed eccolo qui”! Invece ci dice: “Venite con me in un viaggio, un viaggio che richiederà tempo. Non c’è una risposta immediata: prendete un cucchiaio di Giobbe, aggiungete dell’acqua bollente e saprete la risposta”. Giobbe non può essere distillato. È una narrazione con un ritmo molto lento (dopo l’inizio frenetico) e con lunghe attese. Perché? Perché non c’è un’elaborazione immediata del lutto, una soluzione rapida al dolore, un messaggio di Giobbe in poche parole. Dio ci ha dato un viaggio di quarantadue capitoli, senza una soluzione soddisfacente.

La seconda osservazione riguarda il genere letterario: Circa il 95% del libro di Giobbe è poesia. I capitoli 1, 2 e parte del capitolo 42 sono in prosa. Quasi tutto il resto è poesia. Per quale motivo? Perché la poesia arriva dove la prosa non riesce. Può toccarci, commuoverci e sconvolgerci in modi che la prosa non può fare.

E’ una miscela perfetta di affettività (toccare i nostri sentimenti) e cognitività (rivolgersi alla nostra mente). E la poesia è particolarmente adatta a questo discorso equilibrato rivolto a tutta la persona. Ma la poesia non si presta a essere riassunta in proposizioni ordinate, in punti elenco, in sistemi ordinati e in risposte ben scandite. La poesia si confronta con le nostre emozioni, le nostre volontà e le nostre sensibilità. Non possiamo limitarci a riassumere una poesia con una semplice affermazione; dobbiamo lasciare che una poesia lavori su di noi, dobbiamo immergerci in essa. È proprio così per Giobbe: non ci saranno punti sistematici ordinati da annotare e poi pensare di aver “fatto” il nostro compito. Saremo invece immersi nella sua dolce poesia, attraversando le profondità emotive di questo uomo. Perciò, durante questo studio, leggiamo il libro di Giobbe, leggiamolo ad alta voce, riflettiamo, assorbiamo, interroghiamoci, meditiamo. E lasciamo che Dio lavori su di noi attraverso questo grande libro della Bibbia. Alla fine, troveremo la nostra fede più approfondita e la nostra tavolozza emotiva più arricchita.

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