La lettera ai Romani affronta il tema del piano di salvezza di Dio per rivestire il popolo della fede della giustizia del Suo Figliuolo.
Nei capitoli 1-3 Paolo dimostra come sia il Giudeo (con la legge) o il Gentile (senza legge) sono sotto il giudizio di Dio, essendo sotto il peccato, perché non c’è alcun uomo giusto neppure uno. Ma anche che Dio fece dono della Sua giustizia a coloro che avessero posto fede nel suo Figlio.
Al cap.4 Paolo dimostra il proposito di Dio di giustificare per sola fede Abrahamo e tutti coloro (v.23) che avrebbero avuto la sua stessa fede.
Al cap.5 Paolo spiega che, come da un solo peccato, quello di Adamo, la morte si trasmise su tutti gli uomini e come da un solo atto di ubbidienza di Cristo, la grazia e la giustizia di Dio si trasmisero in vita eterna sui molti che avrebbero creduto.
Ora, nel cap.6, Paolo dimostra come la giustificazione ottenuta per fede non può che sfociare verso una santificazione (frutto della nuova vita che Cristo ci ha donata).
La fede in Cristo ci pone in Lui e questo diventa l’elemento dinamico per una vita nuova.
Paolo afferma che nessun uomo avrebbe mai potuto adempiere le cose richieste dalla Legge e mai avrebbe potuto ottenere il perdono da Dio, se non per la fede soltanto.
1) L’unione nella morte di Cristo ci rende morti al peccato (v.1-2)
1Che diremo dunque? Rimarremo nel peccato, affinché abbondi la grazia? 2 Niente affatto! Noi che siamo morti al peccato, come vivremo ancora in esso?
Nella sua grazia Dio ha perdonato i peccati passati, ma ora Paolo deve affrontare una obiezione provocatoria posta da alcuni che insegnavano che conveniva peccare per avere “maggiore grazia”.
Una convinzione che portava molti che avevano conosciuto il vangelo a comportarsi come se il vangelo li autorizzasse a fare tutto ciò che volevano, indulgendo su comportamenti trasgressivi e considerandoli di poco conto.
Ma Paolo dice che “Non è questo il senso della volontà divina”, e spiega che vivere ancora nel peccato non può coesistere con la morte al peccato ottenuta con la morte di Cristo.
Paolo afferma che avere creduto in Cristo ci rende liberi dalla potenza e dalla presenza del peccato in quanto “siamo morti al peccato” (v.2) e in quanto “il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con Cristo” (v.6a).
Così Paolo spiega cosa significa che “siamo morti al peccato” (v.2) e che “il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con Cristo” (v.6a).
Il cristiano ha con Cristo una unione vitale tale che gli fa sperimentare nella sfera morale tutto quello che Cristo ha provato in quella fisica quando morì, fu sepolto e risuscitò.
Se siamo uniti con Cristo (ch’è morto per i nostri peccati), agli occhi di Dio, siamo considerati morti al peccato, ai suoi ordini, alle sue tentazioni, alla sua potenza.
Ciò non comporta la soppressione istantanea del peccato! Il peccato rimane anche se non viene più imputato. I peccati passati presenti e futuri sono perdonati. Colui ch’è giustificato per fede non è più dominato dal peccato. Il peccato diventa un’eccezione, non una regola. Egli è sottoposto a tentazione, ma non concede più le sue membra al peccato come prima.
2) Elaborarne le conseguenze (v.3-14)
3 O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? 4 Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. 5 Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua. 6 Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato, e noi non serviamo più al peccato; 7 infatti colui che è morto è libero dal peccato. 8 Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui, 9 sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. 10 Poiché il suo morire fu un morire al peccato, una volta per sempre; ma il suo vivere è un vivere a Dio. 11 Così anche voi fate conto di essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù. 12 Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale per ubbidire alle sue concupiscenze; 13 e non prestate le vostre membra al peccato, come strumenti d’iniquità; ma presentate voi stessi a Dio, come di morti fatti viventi, e le vostre membra come strumenti di giustizia a Dio; 14 infatti il peccato non avrà più potere su di voi; perché non siete sotto la legge ma sotto la grazia.
Paolo ricorda ai suoi interlocutori, convertiti e battezzati, il significato che ha quel battesimo nell’acqua strettamente connesso all’atto di fede in Cristo. Il credente calandosi nell’acqua professa di riconoscersi nella morte e nella sepoltura di Cristo e risollevandosi dall’acqua di riconoscersi nella Sua risurrezione in vita nuova.
Il termine “siamo stati battezzati nella morte di Cristo” significa infatti che siamo stati immersi in essa. Il cristiano riconosce che la morte di Cristo non fu solo la Sua morte personale ma che, attraverso il suo corpo di carne, il Signore lo ha attirato e preso su di sé, assieme a tutto il resto del popolo della fede. Ecco perché in 2Corinzi 5:14 è scritto:
uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti; e che egli è morto per tutti, affinché quelli che vivono, non vivano più d’ora in avanti per sé stessi, ma per colui che è morto ed è risuscitato per loro.
In Cristo la morte morì. In questa morte morì il peccato e la morte eterna a cui eravamo sottoposti. Il profeta disse:
Io li riscatterò dal potere dello Sceol, li redimerò dalla morte. O morte, io sarò la tua peste. O Sceol, io sarò la tua distruzione.
(Osea 13:14)
Quest’unica immersione del cristiano nella morte e nella risurrezione del Signore di cui parla Paolo è, agli occhi di Dio, un fatto vero e reale di effettiva grazia, sul quale la fede ci conta anche se non l’ha mai sperimentato. D’altronde cos’è la fede se non appropriarsi di ciò che non si vede ma è considerato vero da Dio?
Paolo spiega che, come Cristo risuscitò, anche il popolo della fede, in Lui, risuscita nello spirito. La resurrezione ha dunque un duplice effetto:
1) Il primo si svolge in una risurrezione pratica nel cammino in novità di vita, (v.4) con atti di giustizia, di luce, di verità e di misericordia per mezzo di quello stesso Spirito che ha risuscitato Cristo.
2) Il secondo (v.5) è che essendo uniti a Cristo per una morte simile alla sua, il popolo della fede “vivrà con Lui”, partecipando alla sua risurrezione quando Lui tornerà.
Al v.6 Paolo, usa un tempo al passato e afferma:
”sapendo questo: che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui, perché il corpo del peccato possa essere annullato e affinché noi non serviamo più al peccato”.
Paolo vede la nostra vecchia vita come il vecchio uomo legato al corpo nel quale si agitano le concupiscenze che ci portano a peccare, come qualcosa che nel passato è stato sulla croce con Gesù Cristo e mentre Lui moriva sulla croce, il nostro vecchio uomo (col suo carico immondo) moriva in Lui.
Ai Galati scriveva:
“Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me; e la vita che vivo nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio, il quale mi ha amato e ha dato sé stesso per me” (Galati 2:20).
Questo vecchio uomo, che è ancora visibile agli occhi di ogni credente, agli occhi di Dio è stato veramente crocifisso con Cristo, perché Cristo ha patito con una carne d’uomo simile alla nostra, morendo per il popolo che crede in Lui. La carne del nostro vecchio uomo agli occhi di Dio è stata veramente con e in Cristo. Sulla croce il nostro vecchio uomo morì e fu annullato e la conseguenza per noi oggi è che contando su questo fatto, per fede, possiamo non servire più al peccato perché (agli occhi di Dio) il corpo (strumento del peccato) è stato annullato in Cristo.
È come se Paolo stesse dicendo: “Se vi considerate morti nella Sua morte e risorti ad una nuova vita nella Sua risurrezione, il peccato non vi dominerà più”.
Paolo scrive che “noi (possiamo) non serv(ire) più al peccato”, perché in Cristo fu annullato quel corpo di peccato che ci zavorra e che fa sentire ancora in noi il richiamo di ogni sorta di concupiscenze. Perché se il peccato può agitarsi solo in un corpo che gli risponde, allora se il corpo del vecchio uomo è morto in Cristo, allora anche la potenza distruttrice del peccato che si mostra in atti peccaminosi è vinta. Il signore vuole che contiamo sul fatto che essere uniti a Lui è la base della nostra vittoria e che Lui mette a disposizione della nostra fede la potenza della vittoria della Sua morte e della Sua risurrezione.
Cosicché quando il credente avverte tutta la presenza delle concupiscenze che lo spingono al peccato è il momento in cui deve alzare forte il grido della fede: “Cristo ha già pagato e nulla è dovuto al nostro accusatore perché il corpo del peccato è morto. E ciò che sento sono le menzogne del maligno che continua a dirmi che non è vero”.
v.7 Paolo afferma che “colui che è morto è libero (liberato, affrancato) dal peccato”. Ovvero se siamo morti in Cristo, non rispondiamo più del nostro peccato, perché è come se la nostra fedina penale fosse stata ripulita, libera dall’eredità del passato, verso un futuro di libertà dal peccato.
Paolo collega la nostra morte al peccato con quella di Cristo che “è morto al peccato una volta per sempre” (v.10) e questo termine “per sempre” mette in risalto il carattere definitivo ed eterno del sacrificio di Cristo che ha valore anche per noi.
Ma allora come districarsi tra ciò che avvertiamo della vecchia natura in noi e la Parola che ci dice che quel corpo è stato annullato?
Come è possibile, se il corpo è stato annullato, che senta ancora l’impulso al peccato?
Quel corpo del peccato o corpo di morte è la vecchia solidarietà che quando nasciamo, tutti abbiamo in Adamo, ma che viene spezzata in Cristo anche se avvertiamo ancora tutte le sue tensioni laceranti dentro di noi.
Ma nonostante tutta l’attrazione che il peccato fa ancora sentire in noi, la grazia di Dio ci dà la forza di prendere le distanze dal peccato, provando repulsione e disgusto e consapevolezza di essere stati noi coi nostri atti ad aggiungere dolore ai dolori che Cristo ha patito.
Dio ha posto in noi la vita dell’Agnello che non può che provare repulsione per le immondezze della nostra carne. Un combattimento che Paolo descrive al capitolo 7 della lettera ai Romani.
La nostra coscienza viene investita da questo tipo di repulsione, nonostante l’attrazione del peccato.
Durante il periodo dell’inquisizione quando i credenti erano messi al rogo, avveniva che i religiosi che li avevano condannati, banchettavano e s’ingozzavano mentre quei poveretti bruciavano straziati tra le fiamme. L’insensibilità di quei religiosi davanti alle sofferenze di chi stava morendo era assolutamente innaturale e mostruosa.
Così anche il credente è così legato a Cristo che davanti all’attacco del peccato può vedere quanto sarebbe innaturale e mostruoso banchettare col e nel peccato avendo davanti a sé le sofferenze di Gesù, che muore a causa nostra.
Accettare e riaccogliere il peccato avendo davanti le sofferenze che quel peccato ha creato nel nostro Signore mentre moriva sulla croce per noi, è qualcosa che non ci può lasciare indifferenti. Dio per la sua grazia ci farà tendere a questo tipo di mortificazione della vecchia natura che parte da un’opera sulla nostra coscienza. Egli scrive leggi di vita nel nostro cuore che ci portano a desiderare la purezza e la santità.
Qualcuno diede un’immagine significativa della forza propulsiva della grazia e vide il cambio di natura che avviene nel credente in questo modo: “Il maiale col cuore e la natura del maiale trova assolutamente naturale gettarsi nel fango e negli escrementi e rigirarsi in essi. Ma se al maiale innestiamo il cuore e la natura dell’Agnello, pur avendo ancora le fattezze del maiale, davanti al fango proverà ribrezzo. Potrà cadervi dentro, ma quel fango gli produrrà disgusto e dentro di sé lo odierà”. Così la nuova natura di Cristo opera nel credente.
L’immedesimazione in Cristo ci fa realizzare nel tempo presente il beneficio della sua risurrezione. In che modo?
a) Come Cristo vive a Dio (v.10), così noi dobbiamo considerarci viventi a Dio.
b) Perciò da resi viventi a Dio, si può rispondere alle concupiscenze che ancora si agitano nel nostro corpo mortale con la fede di chi si vede in Cristo e che può rispondere alle tentazioni che “nulla potrà mai strapparci dalle mani di Cristo”.
v.13 Il credente sottoposto alle pressioni delle concupiscenze si presenta a Dio credendo in quel “Sono stato in Cristo e ora vivo in Cristo” secondo le parole di Paolo “Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me; e quella vita che ora vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato sé stesso per me” (Galati 2:20).
La fede crede e s’impossessa dell’atto sostitutorio di Cristo al posto nostro per liberarci dalla potenza e dalla presenza del peccato.
Questo presentarsi a Dio diventa la nostra dichiarazione che siamo suoi completamente: corpo, anima e spirito e che tutto di noi gli appartiene per dargli gloria nella giustizia, nella verità e nella luce.
La nostra dichiarazione di fede si appropria delle parole di Paolo “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù” (Colossesi 3:1).
v.14 Perciò quella Legge che diceva “non fare”, incitando le concupiscenze dentro di noi, e risultando incapace di fermare il peccato, ora ha terminato il suo compito che era quello di portarci a Cristo, affinché la grazia di Cristo ovvero il dono che viene da Dio, sia l’elemento che ci fa vivere da liberi dal peccato. Dio ha predisposto che in Cristo fosse raccolto il nostro peccato per farci vivere da liberi (Romani 5:20). Questo significa che il potere del peccato è disinnescato, nel pratico.
Questo non significa che non sentiremo più la pulsione delle concupiscenze che ci spingono a peccare, ma che quando si presentano, noi possiamo rispondere efficacemente guardando al Figlio di Dio che muore su quella croce per noi e credendo che per quel peccato che si affaccia nelle nostre vite attraverso la tentazione è già stato pagato il prezzo dal sangue di Gesù.
3) La grazia di Dio ci rende liberi dalla servitù del peccato (v.15-23)
15 Che dunque? Peccheremo noi, perché non siamo sotto la legge, ma sotto la grazia? Così non sia. 16 Non sapete voi che a chiunque vi offrite come servi per ubbidirgli, siete servi di colui al quale ubbidite, o del peccato per la morte, o dell’ubbidienza per la giustizia? 17 Ora sia ringraziato Dio, perché eravate servi del peccato, ma avete ubbidito di cuore a quell’insegnamento che vi è stato trasmesso. 18 E, essendo stati liberati dal peccato, siete stati fatti servi della giustizia. 19 Io parlo in termini umani per la debolezza della vostra carne. Perché, come un tempo prestaste le vostre membra per essere serve dell’impurità e dell’iniquità per commettere l’iniquità, così ora prestate le vostre membra per essere serve della giustizia, per la santificazione. 20 Perché, quando eravate servi del peccato, eravate liberi in rapporto alla giustizia. 21 Quale frutto dunque avevate allora dalle cose delle quali ora vi vergognate? Poiché la loro fine è la morte. 22 Ora invece, essendo stati liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi avete per vostro frutto la santificazione e per fine la vita eterna. 23 Infatti il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.
Paolo affronta una seconda supposta obiezione (6:15) contro la dottrina della giustificazione per fede e cioè che se la giustificazione dell’uomo dipendesse dalla sola grazia di Dio e non anche dall’osservanza della legge essa incoraggerebbe veramente al peccato e che il modo migliore per vincere il peccato fosse quello di esigere anche l’osservanza della Legge.
E così Paolo chiede: “Ma pensate forse che se insegniamo che essendo sotto la grazia e così liberati dal peccato, possiamo di nuovo lasciarci andare nelle spire del peccato che ancora si agita in noi…tanto Gesù ha pagato?”
v.15-17 Paolo grida “Così non sia”. In quanto essendoci riconosciuti in Cristo che ha pagato per i nostri peccati, ci siamo offerti come servi per ubbidirgli nella giustizia.
La fede in Cristo non ci rende liberi di peccare, ma liberi dal peccato.
La grazia di Dio ci rende liberi dalla servitù del peccato, perché se siamo diventati servi di Cristo, siamo liberati dal peccato e “fatti servi della giustizia”.
Paolo non ignora la possibilità del peccato nel credente (Romani 6:17,20), ma sottolinea la forza della grazia che ci è stata fatta in Cristo e che ci permette oggi, nel tempo della tentazione, di confidare nel fatto che siamo in Lui e nella sua vittoria.
Oggi per mezzo dello Spirito Santo possiamo trasgredire alle opere della carne che con i loro malvagi desideri ci spingerebbero alla schiavitù.
MA PERCHE’ CIO’ PUO’ REALIZZARSI?
PERCHE’ LA SCHIAVITU’ CHE AVEVAMO DEL PECCATO È RESA SCHIAVA DALLA GRAZIA DI CRISTO.
Paolo non ci chiede di autoconvincerci ma di credere, ovvero contare sul fatto che:
V.22 “essendo stati liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi avete per vostro frutto la santificazione e per fine la vita eterna”.
Tutta la vita ora si apre nella nuova prospettiva di vivere per la gloria di Dio avendo in vista una vita piena di frutti dello Spirito ed essendo posseduti dalla stessa vita (v.23) di Cristo, quella vita eterna che Paolo spiega che non è il risultato di ciò che l’uomo merita davanti a Dio, ma è il gratuito “dono di Dio”.
Nessuno di noi può guadagnare la vita eterna, ma è la fede in Cristo e nella sua opera per la nostra giustificazione che ci unisce a Lui in un legame indissolubile che non si spezzerà mai più in eterno, per puro dono di Dio.
Continueremo ad avere occhi che vedono, mani che toccano, emozioni che provano l’opprimente realtà terrena, ma per fede contempleremo e ci appoggeremo sulla posizione acquistata da Cristo per noi, che ci permette di vivere nella libertà dal peccato perché viventi a Dio e liberi per la Sua grazia, contemplando da lontano quei cieli che ci accoglieranno e che condivideremo con Lui per l’eternità. Potremo soffrire lungo alcune battaglie della vita, ma l’esito della guerra è fissato dalla vittoria del Signore perché Cristo è risorto.